“…In fine, andare è il mio destino e il destino è una meta che ho già qui …” [Cátulo Castillo]

IL PERCORSO

di Andrea Sardi

CAFE’ DOMINGUEZ – Il percorso, il cammino… il viaggio. Un viaggio da Buenos Aires a Parigi, o da un borgo qualunque della nostra Italia ad una città lontana un oceano e due stagioni. Un viaggio geografico, come quello delle migrazioni dall’Europa al Sud America, agli inizi del novecento, o dalle campagne alla città, sempre in cerca di fortuna, dopo la crisi del 1929. Un viaggio dal barrio, il quartiere natio di Buenos Aires, dove restano il focolare e gli affetti familiari, i ricordi di una gioventù piena di speranze, luoghi idealizzati certo, ed il centro, ancora aspirando ad un riscatto sociale, finalmente al benessere, al lusso, costi quel che costi, venendo a patti con la vita

“… Da Esmeralda al nord, accanto al Retiro, ragazze francesi spuntano al calar della sera alla ricerca di clienti occasionali, mettendosi in mostra, ed evitando di farsi vedere dalla polizia…”. [Corrientes y Esmeralda, Tango 1933, Música: Francisco Pracánico, Letra: Celedonio Flores].

Un viaggio destinato alla sconfitta, come raccontano altri tanghi: “… La giovinezza se n’è andata… La tua casa non c’è più… E in quel che fu, e che gettasti via, sono rimasti, in un angolo, il tuo umile vestito e il mio passato… La giovinezza se n’è andata… ormai non spero più… Meglio dar perduti i desideri che non si sono realizzati ed il tuo vestito di cotonina” [Percal, Tango 1943, Música: Domingo Federico, Letra: Homero Expósito]. Così canta l’uomo che non ha smesso di amare colei che ha lasciato i luogo natio, povero ma virtuoso, per inseguire il desiderio di lusso “al centro”, perdendosi.

Un viaggio che è anche, e sopratutto, un viaggio interiore, e non solo perché attraverso l’esperienza, qualunque sia, si apprende, si cresce. Lui le dice anche: “Piangere … Perché stai per piangere? Non hai forse vissuto? Non hai forse imparato ad amare a soffrire, aspettare… e anche a tacere?” .
E’ un viaggio interiore anche perché è proprio qualcosa in noi, che neanche sappiamo cosa sia, che ci spinge, non una vera necessità, niente di veramente razionalizzabile.
“….Per queste strade, in albe pallide, con passo deciso andavo al lavoro; cordiale e semplice era il giro delle mie ore; l’amore della mamma, l’amore della fidanzata… sempre l’amore! Per questa strada in una notte cupa e fredda, ho lasciato il mondo buono e puro del passato, ho girato l’angolo, senza pensare a cosa stavo perdendo, e sono partito, senza meta, per non tornare mai più….” [Barrio pobre, Tango 1926, Música: Vicente Belvedere, Letra: Francisco García Jiménez].

Che poi, potrei averlo scritto io, questo tango. Come te, forse, amico mio, amica mia, ad essere sinceri, no? Andare, di città in città senza meta, inseguendo un sogno, come un fiume insofferente alla quiete del lago, fiume che fugge, attraversando mille luoghi solo per arrivare, in fine, a dissolversi nel mare. Forse è quando s’avverte quest’ultimo passaggio che, a volte, la prospettiva cambia e ci si rende conto che non esiste un altrove, almeno in questa vita, dove poter continuare a fuggire. Forse ci risveglia un dolore, una perdita, che a ben vedere sarà sempre e comunque, in essenza, la perdita del sogno, dell’illusione. Così canta il carrettiere, pensando alla donna amata, strappata dalla morte al suo abbraccio, rivolgendosi al bue bianco al tiro: “… Non devi affrettarti, bianchino! Andiamo lentamente, non di più. In fine, andare è il mio destino e il destino è una meta che ho già qui sulla carretta...” [Camino del Tucumán, Tango 1946, Música: José Razzano / Cátulo Castillo, Letra: José Razzano / Cátulo Castillo].

Sai, questo andare del carro, un andare lento, è quasi eterno, per contrasto con l’incipit: “… la notte arriva di trotto, con nere trecce di sogno, e la luna corre, corre, e stanca i buoi, affaticati e pigri...” e mi ricorda un altro eterno andare, questa volta racchiuso tra la specularità dell’immagine con cui si apre e chiude un altro tango, “No te apures Carablanca” [Tango 1942, Música: Roberto Garza, Letra: Carlos Bahr]. Qui un vetturino si rivolge al cavallo che così si chiama e gli dice: “Non preoccuparti, Carablanca, non ho nessuno che mi aspetta… nessuno è in pena per il mio ritardo. Per me è sempre presto per tornare”.

Il viaggio,alla fine, rappresenta il viaggio della vita. E la vita altro non è che nel presente. Al di fuori di questo fugace momento, sono solo ricordo ed illusione. Così, amica, amico mio, ti lascio con le parole di un poeta di tango per niente accademico, che ci parla con la saggezza dell’uomo semplice e concreto. Buon tango!

La vita è breve e bisogna viverla, del domani non bisogna fidarsi… Se oggi la menzogna si chiama sogno, forse domani sarà la verità… La vita è breve e bisogna viverla, felici accanto ad una donna, e se ci mente, con i suoi occhi, è solo un motivo in più per amarla…” [La vida es corta, Tango, Música: Ricardo Tanturi, Letra: Francisco Gorrindo].

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